La commedia, divisa nettamente in due parti dalla parabasi, deve il suo titolo al coro di rane, il cui gracidio scandisce il lento avanzare della barca di Caronte sulla palude stigia. Su di essa viaggia Dioniso, il dio della Tragedia, sceso agli Inferi per riportare sulla terra Euripide, morto di recente senza lasciare successori degni di questo nome. Dioniso ha come compagno il servo Xantia, col quale scambia a più riprese un travestimento da Eracle, inizialmente indossato dal dio per far colpo sugli abitanti dell'aldilà ma poi dismesso per evitare guai peggiori: infatti se l'eroe riscuote le simpatie di Persefone e delle sue ancelle, non altrettanto può dirsi di Eaco, uno dei giudici infernali, che non gli perdona il rapimento di Cerbero. La parabasi, che chiude la comica "saga" d Xantia e Dioniso, contiene una serie di esortazioni alla concordia e alla oculatezza nella scelta dei giovernanti. Nella seconda parte della commedia i due si trovano al centro di un tumulto scoppiato nella dimora di Plutone in seguito al "colpo di stato" attuato da Euripide, che con l'appoggio di una massa di facinorosi ha tolto ad Eschilo il trono dell'arte tragica. Alle proteste del sovrano spodestato, Plutone decide di dirimere la contesa con una gara fra i due poeti e ne elegge giudice Dioniso. L'agone comincia con una serie di accuse reciproche da parte dei contentedenti: Euripide rinfaccia ad Eschilo la staticità dei suoi drammi e l'oscurità del linguaggio da lui adoperato, ed Eschilo accusa l'avversario di immoralità e di vuoto virtuosismo verbale. A un certo punto Euripide se la prende coi prologhi eschilei, a sua dire ripetitivi e pieni di incongruenze, allora Eschilo lo sfida a recitarne qualcuno dei suoi e per ben sette volte riesce a ridicolizzarlo interrompendolo dopo le prime battute completando il verso con la medesima banalissima frase "e perse la boccetta!", a dimostrazione dell'incostanza di una struttuta integrabile in qualsiasi punto con le aggiunte più strampalate. La gara va avanti così per un po', anche per la poca imparzialità di Dioniso che parteggia sfacciatamente per Euripide: si giunge financo a pesare su una bilancia un verso per ciascun poeta, e la vittoria arride ancora ad Eschilo, ma il dio non se ne dà per inteso. Infine egli propone di attribuire la palma a chi dei due saprà dare il miglior consiglio ad Atene: anche in questo caso Eschilo ne esce vincitore, e tale, finalmente, lo proclama anche Dioniso. Accompagnato da una festosa fiaccolata, in un grandioso finale che ricorda quello delle Eumenidi, il dio della poesia riconduce Eschilo sulla terra, nella città che ancora si attende da lui precetti di salvezza.
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